I GIOVANI NATI GIÀ VECCHI*

In Italia si procede spesso per mode e stereotipi, inseguendo slogan ossessivi e buonismo di facciata. Si individua una parola magica o evocativa, tipo “donne” o “giovani”, che nasconde, almeno nelle intenzioni, un concetto nobile e la si ripropone in tutte le salse sino allo sfinimento. “Ci vuole una donna al Quirinale”, “facciamo spazio ai giovani”, “il candidato ideale per la Presidenza della Repubblica? Donna e giovane”. La fiera delle insulsaggini non conosce alcun limite, non si arrende nemmeno di fronte all’evidenza. Prendiamo a esempio la discussione infinita sui giovani che si trascina fiaccamente da anni in assenza di un intervento serio e risolutore. Da quello che si ascolta sembra che il puro dato anagrafico garantisca il necessario ricambio generazionale, il rinnovo delle istituzioni, la qualità delle decisioni, la soluzione prodigiosa contro il declino. Nulla di più falso o fuorviante. Il vero cambiamento consiste nella selezione di uomini (e donne) indipendenti, sganciati da vecchie e consolidate logiche di potere. Poco importa la data di nascita, quello che realmente conta è la competenza e l’autonomia, il resto sono chiacchiere da impostori, buone soltanto a costruire un editoriale o un talk show per radical chic digitalizzati. Un “giovane”, legato agli schemi del passato calati dall’alto e sostenuti dalle intoccabili congreghe a cui appartiene e da cui è sponsorizzato, produce oltre l’inevitabile danno anche la successiva beffa. E l’Italia sembra proprio il luogo ideale per i “ragazzi nati vecchi”, quello in cui ritrovano il loro habitat naturale, dove riescono ad affermarsi senza difficoltà o affanni.

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Tutta gente che avrebbe sicuramente ispirato la penna pungente dello scrittore argentino, Roberto Arlt**. «Ragazzi di buona famiglia. Ragazzi che dal liceo vanno all’università, e dall’università allo studio, e dallo studio ai tribunali, e dai tribunali a una casa fredda con una moglie onesta…». Fino al Parlamento e alle cariche ministeriali. Persone che sin dalla nascita compiono una sequela di gesti scontati, senza mai un guizzo o una battuta fuori dal copione, pronti sempre ad adeguarsi conformisticamente a tutto ciò che non turbi il loro sistema di vita o la scala di valori che si sono imposti di rispettare scrupolosamente. Simili al compagno di banco, inflessibile quanto meschino già alle scuole elementari, che fa la spia alla maestra o al vigliacco compagno di liceo dalle mascelle rigide e il naso appuntito che si presenta in classe anche quando tutti decidono di concedersi una giornata al parco o al mare anziché tra i banchi e i libri di testo. «Perché saranno nati questi uomini seri? Si può sapere? Perché saranno nati questi minorenni pesanti, questi studenti severi? Mistero. Mistero».

Allora, il problema non è l’età ma la mentalità. In Italia, è il modo di ragionare che è vecchio, superato, marginalizzato dall’evoluzione che c’è stata altrove dove non si seleziona in base all’appartenenza o alle segnalazioni. Si è passati repentinamente dai fossili della politica ai loro figliocci dalla faccia pulita e dall’abbigliamento inappuntabile. È cambiata la forma, dal ciclostilato si è arrivati fino a twitter, i tablet hanno sostituito la ceralacca, ma la sostanza è rimasta immutata, inviolabile, gelosamente protetta dai devoti custodi di Stato, i fedeli guardiani dello status quo. Ci si è opposti strenuamente al cambio della guardia, alla sostituzione dei vecchi centri di potere, alla definitiva modernizzazione del Paese. S’è preferito conservare il passato, sbarrando le porte al futuro. I giovani nati vecchi stanno solo blindando quello che i loro padri, o i loro nonni, avevano già messo in cassaforte. Stanno semplicemente completando il lavoro che già aveva iniziato qualcun altro al loro posto tanti anni fa. Quando erano già vecchi anche se non erano ancora stati concepiti.

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*Estratto dell’articolo pubblicato su Ottopagine il 26 gennaio 2015: http://www.ottopagine.it/av/cultura/2785/quei-giovani-nati-gia-vecchi.shtml

**“I ragazzi nati vecchi”, racconto di Roberto Arlt contenuto ne “Le acqueforti di Buenos Aires” – Del Vecchio Editore

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