IL MASANIELLO VENUTO DAL FREDDO

Matteo Salvini è uno a cui è sempre piaciuto esasperare i toni, parlare a ruota libera dopo aver alzato il gomito, come quella volta che, al termine di un’adunata di Pontida, nel 2009, fu ripreso in un video mentre intonava i soliti squallidi cori da stadio contro i napoletani che evocano scioccamente disastri ed epidemie (“senti che puzza / scappano anche i cani / stanno arrivando i napoletani / oh colerosi, terremotati che col sapone non vi siete mai lavati”).Ma lui, abituato com’è a ritenere che la ragione e la logica siano dalla sua parte, si mostrò più sorpreso che pentito, quasi risentito nonostante le polemiche scatenate dalle sue esternazioni idiote. «Anche a Salerno e Avellino, dove tifano contro il Napoli, cantano quel coretto. Questi sfottò esistono da che esiste il calcio».

Pur nella consapevolezza che la stupidaggine trova spesso prevedibili emulatori, derubricare ogni insulsaggine a motto di spirito è una consuetudine ridicola, un atto da pavido gaglioffo.  Da uno come Salvini ci si attende un’altra reazione: “l’ho detto, qual è il problema?”. Forse all’epoca, prima degli scandali, delle disinvolte gestioni finanziarie di Belsito e della laurea albanese del Trota sovvenzionata dai soldi del partito, Salvini, neo segretario della Lega dei popoli, che non ha più i meridionali come bersaglio ma immigrati e omosessuali, euro e banche, aveva già previsto che un giorno sarebbe sbarcato al Sud, ricevendo la stessa accoglienza di un moderno Garibaldi che divide e non unisce, offende e non si arrende.

Laddove nel 1943 giunsero gli alleati a liberare l’Italia dall’occupazione nazi-fascista, oggi è arrivato Salvini che non è proprio immune dall’ideologia di estrema destra da cui trae linfa per stringere alleanze e sottoscrivere patti d’acciaio con i suoi omologhi europei, dalla francese  Marine Le Pen all’olandese Geert Wilder, passando per l’austriaco Heinz-Christian Strache, tutti d’accordo nel chiudere le frontiere  “ai negher che portano l’ebola” (il copyright è di Salvini) o nel combattere quella sorta di pangermanesimo su scala europea che loro paventano.

Da Bruxelles fino a Salerno, la marcia di Salvini è inarrestabile, come la sua ascesa elettorale. Si affranca dalla Lega di Bossi, da “Roma ladrona”, dalla retorica del Nord laborioso e del Sud fannullone. I programmi sono cambiati, le emergenze sono altre, l’Italia è più unita che mai. Niente più Padania, fazzoletti verdi, riti celtici, ampolle o “Va pensiero”, urlato a squarciagola con la mano sul petto. Niente più denigrazioni del tricolore e della Patria. I nemici adesso si annidano altrove: sono gli stranieri, l’Islam, i gay, i clochard, i Rom, tutto quello che spaventa il perbenismo nordico.

La secessione è un lontano ricordo, archiviato in fretta e furia. Adesso è necessario “difendere i confini”, “riservare sui tram i posti a sedere ai milanesi”, o chiedere l’intervento “dell’esercito per liberare le case popolari occupate a Milano”. È cambiato il testo e pure il contesto. Allora, al netto di qualche nostalgico contestatore, il sindaco di Salerno De Luca ha ospitato la versione aggiornata del Salvini nazionale, a proprio agio come se si trovasse nelle valli bergamasche, accompagnandolo nella sala consiliare del Comune che non è riuscita a contenere folla ed entusiasmo. Sono stati illustrati i punti del programma salviniano, pochi e chiari (“tassazione al 15-20%, abolizione della legge Fornero, stop all’immigrazione selvaggia e la difesa del made in Italy”). In questa capillare operazione di proselitismo, parecchi a sud di Roncobilaccio, sono già rimasti folgorati. Salvini ha già sedotto un po’ di persone pronte a passare da un Matteo all’altro, dal “Jobs Act” di Renzi al “Patriot Act” di Salvini che ammicca e blandisce le masse. In nome dell’identità dei popoli, guarda ai neo borbonici, si confronta con il siciliano Buttafuoco scoprendo inattesi punti di contatti.

Intanto, trova pure il tempo per ribaltare gli schemi in politica estera. Il punto di riferimento è Vladimir Putin. Attacca l’euro ma viene sedotto dai rubli. “Pecunia non olet”, soprattutto in campo politico dove il denaro non è mai considerato “lo sterco del diavolo” ma concime al servizio della causa. E quello dello zar russo fa gola a tanti. Salvini assicura che il suo endorsement è disinteressato. Ma, come diceva un altro grande statista, “a pensar male si fa peccato ma molto spesso ci si azzecca” e la processione al Cremlino dei leader dell’estrema destra europea sono più di un sospetto, quasi un indizio. Matteo accarezza il sogno di un nuovo impero russo attraverso twitter, il suo strumento di comunicazione preferito: “#Mosca: no #clandestini, no lavavetri, no campi Rom. Ragazze in metropolitana alle 2 di notte senza paura”. E poi, a rincarare la dose, la t-shirt indossata dai gruppi leghisti al Parlamento europeo: “no sanzioni alla Russia”.

Intanto, si assiste alla definitiva trasfigurazione del leghismo primordiale, al ripudio del federalismo di Miglio e al superamento dei simboli, dalla canottiera al “celodurismo”. La Lega guarda all’Europa per blindare i confini, al Sud per saldare estremismi opposti in nome di un sottile calcolo elettorale. Salvini riceve le lusinghe dell’attuale Berlusconi, decadente e imbrigliato nel Patto del Nazareno, ma lancia la sfida alla destra di Giorgia Meloni, rincorrendone elettorato e idee reazionarie. Salvini, una volta, disse: “Arriverà prima la Padania libera e poi la mia laurea”. Non sono arrivate né l’una né l’altra. Però, nel frattempo, il Masaniello venuto dal freddo si è liberato dell’ingombrante passato. La storia ha già fatto il suo corso. Il dado è inesorabilmente tratto: Matteo ha passato finalmente il Rubicone.

Estratto dell’articolo pubblicato su Ottopagine nel novembre 2014. 

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