COMANDA NAPOLI

Napoli, martedì 1 dicembre 2015. Ore 8,15.

Comanda Napoli”. Sulla prima pagina de “Il Mattino” campeggiava una foto enorme di Gonzalo Higuain, il nuovo eroe partenopeo, il fuoriclasse strappato a suon di milioni al Real Madrid per riportare il Napoli in testa al campionato. La città era ipnotizzata dalle gesta del campione argentino che, nelle sue esultanze sfrenate, sapeva condensare rabbia e gioia, abbinando un senso di ribellione a una spontaneità quasi infantile, primitiva, pure barbara per certi versi. Era una specie di Dottor Jekyll e Mister Hyde in pantaloncini corti e scarpini chiodati.

«Ha la faccia del traditore, la tipica espressione di chi, prima o poi, ti rifila una gran fregatura e si vende al migliore offerente».

«Mamma, perché sei sempre così pessimista. Higuain è l’idolo indiscusso di Napoli, ci condurrà al successo, proprio come fece Maradona venticinque anni fa quando io non ero ancora nato».

«Può anche darsi che ti faccia vincere il campionato ma, non appena gli sarà possibile, se ne andrà al Barcellona, al Chelsea o addirittura alla Juventus».

«Alla Juventus? Ma che dici, non potrà mai vestire la casacca dei nostri storici rivali, ne sono più che certo».

«Ne sei tanto sicuro? Si vede che è un egoista, ha lo sguardo freddo, l’espressione del viso meschina, da abile calcolatore. A lui interessa solo primeggiare, la squadra deve essere al suo servizio e non lui al servizio della squadra».

«Mamma, per te le storie non possono mai avere un lieto fine, non credi alle favole. E poi da quando sei diventata un’esperta di pallone?».

«Di calcio non me ne intendo proprio, però ne capisco, eccome se ne capisco, di uomini miserabili, di falsi sentimenti e di grandi inganni. La natura umana non cambia: è incline al tradimento. Tradisce per i soldi, per il potere. O per tutte e due le cose. A volte, anche per molto meno».

Le parole di Teresa non convinsero affatto Federico che, abbandonato Il Mattino, si gettò a capofitto sul Corriere dello sport. Nel bar, più affollato del solito, c’era la fila per leggere i giornali. Un tipo dai modi spicci si fece spazio per afferrare proprio Il Mattino. Era uno di quei tipici avventori di locali pubblici che danno l’impressione di avere come unico scopo quello di scroccare la lettura dei quotidiani, senza peraltro consumare nulla. Teresa ne intuì le intenzioni e, per evitare di essere schiacciata dal lardo e dalla puzza di nicotina che emanava quell’omaccione, lo anticipò e glielo porse.

Il movimento fu piuttosto fulmineo, poi Teresa si arrestò all’improvviso. I suoi occhi caddero su un trafiletto in basso a destra, accompagnato da un riquadro con una foto. “Proiettile vagante: tifoso in fin di vita”. Il tipaccio cominciò a spazientirsi, a spingere alcune persone intente a bere il caffè. Provò ad acciuffare il giornale proprio mentre Teresa si defilò, infilandosi in un piccolo anfratto dove poteva continuare, senza interferenze moleste, la lettura di quella notizia che la stava riportando indietro nel tempo, verso un passato doloroso, un segmento della sua esistenza che riteneva di aver archiviato.

Federico non si accorse di nulla, restò a fissare l’immagine impressa sul quotidiano sportivo. “Il re è Higuain”.  Non era d’accordo con la mamma, il Pipita non avrebbe mai voltato le spalle alla città che lo idolatrava come una divinità, che lo aveva eletto erede naturale di Maradona, che gli aveva consegnato lo scettro e pure il trono da imperatore. Napoli e Higuain non si sarebbero più separati. A Federico così piaceva pensare.

Intanto, esaurita per un istante l’euforia, notò la mamma rannicchiata in un angolo del bar con la faccia affondata sulla prima pagina del giornale, un energumeno che stava sbattendo la porta imprecando una quantità assortita di santi e madonne e il titolare del bar che lo stava invitando in maniera piuttosto brusca a non farsi più vedere da quelle parti.

«Maledetto bastardo, non hai mai ordinato nemmeno un bicchiere d’acqua. Compratelo il giornale, pezzente!».

Teresa aveva riconosciuto immediatamente l’uomo nella foto nonostante fosse passato un bel po’ di tempo e il suo aspetto fosse inevitabilmente mutato. Aveva fissato a lungo quell’immagine proprio per concedersi un margine di dubbio ma alla fine dovette arrendersi all’evidenza: certe facce non si dimenticano. Quel volto aveva scatenato una tempesta di emozioni e memorie. S’era ricordata per filo e per segno cosa s’erano detti venticinque anni prima, cos’era successo dopo il loro incontro.

Al fatto di sangue, non erano dedicate più di dieci righe in prima pagina. Probabilmente, i tempi di stampa non avevano consentito di approfondire la notizia. Però, con i potenti mezzi tecnologici a disposizione, a Teresa bastò tirare fuori lo smartphone dalla borsetta e digitare “sparatoria napoli inter” su Google per attingere un bel po’ di informazioni.

Poco dopo la fine della partita, intorno alle 23/23.30, un colpo di pistola ha colpito alla schiena un tifoso che camminava nei pressi dell’incrocio tra via Caravaggio e via Manzoni. La confusione, il traffico intenso e la distrazione generale non hanno permesso di individuare il punto da cui è partito il colpo, né di capire a chi fosse realmente indirizzato. C’è chi è arrivato ad azzardare che qualche ‘tifoso’ abbia inteso festeggiare la vittoria del Napoli sparando un proiettile per aria. L’uomo colpito, un cinquantenne del Vomero versa in gravi condizioni ed è ricoverato nel reparto di terapia intensiva del Cardarelli”. Il sito “WikiNaples.net” era leggermente più preciso sugli orari, il punto in cui s’era verificato il ferimento e la descrizione della vittima. Dopo un’ulteriore ricerca, riuscì a rinvenire le iniziali del ferito: F.O. di anni 51. Teresa fece due conti mentalmente, anche l’età corrispondeva, così come le iniziali. Non aveva bisogno di ulteriori conferme. Tuttavia, nello stesso istante, una trasmissione radiofonica interruppe le solite chiacchiere sul calcio per dare degli aggiornamenti sulle condizioni dell’uomo. Pur con tutto il chiasso che c’era nel bar e con il frastuono che arrivava dalla strada, Teresa riuscì ad afferrare ogni singola parola. Intanto, il bestione che aveva provato a strapparle il giornale era fermo dall’altro lato della strada, intento a fumare e a blaterare per chissà quale imprecisato motivo.

Gli inquirenti hanno finalmente diramato il nome della persona ricoverata in condizioni gravissime, si tratta di Fabrizio Orlando, un uomo sulla cinquantina che vive nella zona collinare della città. Da quel che trapela, lo sparo sarebbe partito accidentalmente da una moto, a bordo c’erano delle persone che hanno deciso di celebrare il successo del Napoli in modo macabro. Dalle testimonianze di alcune persone, s’è riuscito a risalire a un numero di targa parziale. Ci si augura di identificare quanto prima gli autori di questo folle gesto e di assicurarli alla Giustizia. All’amico tifoso del Napoli, auguriamo di vincere questa difficile battaglia per la vita. Chiusa la parantesi, torniamo ad argomenti più leggeri che ci interessano, però, molto da vicino. È in linea uno spettatore, Nino da Soccavo il quale vuol rivolgere una domanda a Mister Sarri che è qui in studio con noi, raggiante per la vittoria e addolorato per quanto è successo fuori lo stadio. Prego, Nino, ti raccomando di essere solo rapido perché abbiamo tanti spettatori in attesa, il Mister ti ascolta…”.

Teresa e Federico, faticosamente, riuscirono a divincolarsi tra la folla del bar e tornare all’aria aperta. Lungo il viale dei Colli Aminei, il traffico era come al solito frenetico e, per di più, un paio di cantieri aperti stavano creando ulteriori rallentamenti. La giornata era calda, quasi primaverile nonostante si fosse agli inizi di dicembre. Il brutto ceffo era, per fortuna, scomparso. Teresa era, comunque, turbata, lo sguardo di quell’uomo le aveva trasmesso una certa agitazione. Federico colse quest’inquietudine ma preferì non aggiungere altro. Aveva compreso che la mamma non era serena, già quando aveva cominciato a parlar male di Higuain. Conosceva alla perfezione tutte le sfumature del suo carattere: in momenti così, non bisognava tormentarla. Da sola, avrebbe recuperato la serenità.

Teresa aveva da poco superato i quarant’anni, da oltre dieci anni svolgeva la professione di avvocato e da circa quindici anni si occupava a tempo pieno del suo unico figlio a cui, quel giorno, aveva concesso una giornata libera da impegni scolastici, da trascorrere insieme come non gli capitava da un po’ di tempo. Era ancora una donna molto affascinante, aveva un viso dai lineamenti morbidi, un seno importante, quasi un biglietto da visita, e un fondoschiena perfettamente armonizzato col resto del corpo. Insomma, il suo aspetto provocava sempre sguardi lascivi, commenti coloriti, desideri quasi sempre repressi o sfogati in solitudine all’interno di squallide toilette. Quel contesto un po’ strampalato non poteva certo rappresentare un’eccezione alla regola. Ma Teresa era ormai abituata e si lasciava scivolare tutto addosso, pure la trivialità di quell’umanità assortita in maniera piuttosto bizzarra.

Intanto, s’erano messi a passeggiare per una stradina laterale, parallela al bar. Si diressero verso la macchina che avevano parcheggiato nei pressi dell’ingresso del Parco del Poggio. Stavano quasi per aprire gli sportelli, quando a Teresa sembrò che, dall’interno, un uomo stesse attirando la sua attenzione. Il tipaccio aveva una vaga somiglianza con quello che aveva tentato di afferrare i giornali nel bar ed era poi stato cacciato in malo modo.

Teresa stava registrando troppe strane coincidenze: non ha mai creduto alle circostanze fortuite. Nulla succede per caso, ripeteva sempre fino alla noia. Anche Federico aveva ormai imparato la lezione. Quasi come se avesse letto tra i pensieri di sua mamma, incoraggiò la sua curiosità.

«Vai a vedere che vuole quel tipo. C’ha fissato a lungo, anche dopo che ha tentato di afferrare i giornali senza riuscirci. Io aspetterò qui. Pronto a intervenire in caso di pericolo, gli ho scattato una foto di nascosto con lo smartphone. Ci metto un secondo a inviarla in Questura attraverso quest’applicazione del mio smartphone».

«Senti Derrick, ti ho comprato questo telefono per comunicare con me e i tuoi amici, non per comportarti come un investigatore privato. Non mi va di andare incontro a quello spostato. Fa così con tutti, è mezzo matto, forse anche un poco rattuso. Non lo vedi? Perché non ce ne andiamo?».

Teresa era combattuta: non voleva sfuggire a quell’incontro, voleva capire che accidente volesse da lei quell’individuo all’apparenza scombinato ma, al tempo stesso, non voleva mettere in nessun modo in pericolo suo figlio. E neppure se stessa.

«No, quello vuole parlare proprio con te. C’è da stare attenti ma non da aver paura. Se avesse voluto farci del male, sarebbe arrivato di nascosto, senza farsi vedere. Non ci avrebbe concesso vantaggi, non ci saremmo accorti della sua presenza e, soprattutto, non avrebbe fatto tutto quel casino. Invece, s’è fatto notare pure troppo. Vuole dirci qualcosa, vai tu e io resto qui. E poi chi è questo Derrick?».

Teresa, a cui non piaceva lasciare i conti in sospeso, capì che era il momento di infilarsi all’interno del parco. Raccomandò a Federico di entrare in macchina e di azionare il meccanismo che chiude le sicure degli sportelli. Il figlio, dal canto suo, attivò un meccanismo di localizzazione sul telefono della mamma che rimandava sul suo la posizione e, in più, riusciva a trasmettere l’audio della conversazione, tutto in tempo reale.

Teresa non ebbe bisogno di chiedere, aveva intuito che Federico aveva messo in funzione qualche complicato marchingegno per tenerla sotto controllo. La cosa non le dispiacque, si avviò verso l’ingresso proprio mentre l’uomo misterioso le fece segno di seguirla. Federico non era più così tranquillo come quando aveva detto alla mamma di andare ad ascoltare quell’uomo cosa aveva da dire.

D’altronde, lui sapeva cosa era capitato alla zia e conviveva con un perenne stato d’ansia che tentava di dissimulare soprattutto agli occhi della mamma.  Al di là del processo e della sentenza che ne era seguita, tutto ciò che circondava quel delitto era avvolto nel mistero, come in una gigantesca macchinazione. Ma poi per cosa? Nicoletta era una semplice segretaria, a chi aveva potuto dare fastidio? Federico s’era documentato su internet, c’era pure una pagina di Wikipedia dedicata all’omicidio di Nicoletta Ammaturo: il delitto di Via Aniello Falcone. Ormai non era più aggiornata da tempo. Il barbaro assassinio era raccontato con dovizia di particolari. La prima volta, che s’era avventurato nella lettura, aveva avuto per giorni un nodo allo stomaco. Naturalmente, non aveva detto nulla alla mamma che, però, sapeva che lui era a conoscenza della vicenda. Una sera, aveva provato a raccontargliela nel modo più morbido possibile, senza troppo convinzione. Nemmeno lei aveva mai creduto alla verità giudiziaria, alla colpevolezza di Massimo Secco e alle stronzate che avevano scritto sui giornali.

Federico, che a quindici anni, era un avido consumatore di serie TV e aveva già letto qualche spy-story di John Le Carrè, non era riuscito a farsi un’idea ben precisa della vicenda. Era stupito dal fatto che, a differenza di altri casi analoghi, su Wikipedia non fossero formulate tesi alternative a quella ufficiale scaturita dal processo che aveva condannato Secco all’ergastolo. La pagina era molto essenziale, quasi scarna, conteneva anche alcune imprecisioni di carattere biografico che lui aveva provveduto a correggere, registrandosi sul sito e apportando le dovute modifiche. Era errato l’anno di nascita, il luogo di nascita (Nicoletta aveva sempre vissuto a Napoli ma era nata per una curiosa coincidenza a Roma), nonché il quartiere in cui viveva prima di essere ammazzata. Avevano confuso il quartiere San Pasquale con il Pallonetto. Piccole fesserie che Federico c’aveva tenuto a precisare. Ogni tanto, gli capitava di vedere la foto della zia, bella e giovane, affascinante e ingenua, provocante e sprovveduta nei suoi abiti dell’epoca che oggi appaiono buffi e fuori moda, quasi ridicoli.

Aveva una folta chioma, capelli ricci e biondi, la sfrontatezza dei suoi ventiquattro anni e un’inesperienza fatale. La voglia di vivere, di ribaltare un destino già scritto, tutto ciò che mani vigliacche avevano impedito che si realizzasse, ammazzandola in una torbida notte di inizio luglio di troppo tempo fa. Federico, tuttavia, riteneva che non fosse mai troppo tardi per ristabilire la verità, che ci fosse ancora tempo per restituire la dignità perduta al presunto colpevole. Forse, all’epoca, non c’erano ancora gli strumenti scientifici per ricostruire l’omicidio e analizzare la scena del crimine. Federico non poteva ancora immaginare che c’era stata una precisa volontà di depistare, coprire, silenziare, anche a costo di ulteriori perdite, di altri delitti che si sono aggiunti al primo, vite sacrificate sull’altare di un potere occulto di cui non è mai semplice delineare i tratti distintivi, i volti, i nomi, le reali intenzioni.

Intanto, Teresa era arrivata al cospetto del suo enigmatico interlocutore che le apparve immediatamente più mansueto a dispetto dei modi palesati in precedenza. In effetti, ispirava una certa fiducia e Teresa, dapprima riluttante, decise di seguirlo lungo il piccolo viale del parco che conduceva fino all’interno di una piccola arena dove in estate veniva organizzata una rassegna cinematografica all’aperto. Sullo sfondo la cupola imponente della basilica di Capodimonte, il verde scintillante sfidava l’azzurro del cielo e del mare, creando un singolare contrasto cromatico.

Il frastuono della strada si era tramutato in un silenzio surreale e inquietante al quale si sovrappose per un attimo il rumore del motore di un aereo in fase di decollo che passò proprio sopra le loro teste provocando un leggero spostamento d’area. La carlinga dell’aeroplano oscurò il sole. Lo sconosciuto approfitto di quell’istante di sospensione per venire subito al punto.

«Il mio nome è Iodice, Vincenzo Iodice. Anche se non sembra, sono un giornalista. Dirigo una rivista on line, “L’osservatore napoletano”. Non so se ne ha mai sentito parlare?».

La domanda sembro più ridicola che retorica e, per questo, Iodice continuò senza attendere nemmeno un cenno da Teresa che, visibilmente preoccupata, aveva compreso all’istante due cose: la galassia delle pubblicazioni partenopee comprendeva ormai un numero infinito di siti d’informazione quasi sconosciuti, un pezzo di passato stava tornando a reclamare attenzione.

Iodice, tra le mani, stringeva una cartellina di colore giallo. Teresa notò che stava tremando, la circostanza le apparve piuttosto strana considerato che, una volta scomparso il boeing dell’Alitalia, i raggi di sole avevano ripreso a riscaldarli e la temperatura era tornata gradevole. Pure il vento s’era calmato. Allora, Teresa intuì che quei fremiti non potevano che essere la diretta conseguenza della paura. Aveva di fronte un uomo spaventato e lei stava iniziando ad abituarsi all’idea di riaprire un capitolo della sua vita morto e sepolto. E cominciò ad aver paura anche lei. Non per sé ma per Federico. Tutto ciò che riguardava la morte della sorella poteva mettere in azione meccanismi imprevedibili, come un vortice improvviso poteva risucchiare cose e persone.

«Mi deve perdonare per i modi bruschi ma ho tra le mani qualcosa che scotta di cui vorrei liberarmi quanto prima possibile. Questa cartella mi è stata consegnata da una sua vecchia conoscenza. Ora lui non può più consegnargliela, non si sa neppure se sopravvivrà. Sa cosa gli è capitato, ho visto che stava leggendo la notizia sul giornale. Ora tocca a me quest’incombenza, dopodiché non mi vedrà più».

«Cosa le fa credere che io sia disposta a mettere in pericolo la vita di mio figlio?».

«Perché questo documento riguarda sua sorella, dimostra che hanno condannato un innocente ed è la prova provata che vi hanno raccontato un sacco di fesserie in tutti questi anni. Io non sono in grado di pubblicare questa roba, non sono più interessato né agli scoop, né alle questioni di principio. Il mio giornale segnala disservizi, buche, alberi pericolanti, al massimo qualche parcheggiatore abusivo. Poi promuovo eventi culturali, presentazioni di libri, appuntamenti gastronomici, feste di piazza. Da poco ho aperto da poco una seguitissima rubrica di necrologi. Ma quello che tira molto è il gossip, ‘o ‘nciuco. Insomma, la gente non vuole impegnare troppo il cervello, vo’ sentere sulo ‘ste strunzatelle. Quindi, come può ben intuire, non ho alcuna autorevolezza. Se pubblicassi qualcosa su questa storiaccia, mi accuserebbero di aver contraffatto il documento. Insomma, nessuno mi crederebbe, sarei diffamato e forse accoppato, gettato in una discarica e i miei resti sarebbero divorati dalle zoccole. Tanti anni fa, quando ancora non ci stava internet, ebbi la grande occasione: il mio grande errore è stato non dar credito a Fabrizio Orlando. Aveva ragione lui e torto io. Ora non ci sta più niente da fare.  I tempi sono cambiati, chiunque si può inventare giornalista e sparare cazzate sul web. Però quando hai la verità tra le mani devi pure avere la forza per pubblicarla. A me manca sia quella sia il coraggio. Ci tengo a godermi la pensione, i nipoti, il cagnolino e dischi di James Senese, senza beccarmi un proiettile in testa».

Non terminò nemmeno la frase che s’allontanò lasciando la cartella gialla sulla panchina. Sussurrò qualcosa nell’orecchio di Teresa che assomigliava tanto a un messaggio d’addio o a un avvertimento. Lei non avrebbe saputo dirlo: non aveva sentito bene le parole, da un lato perché frastornata dal racconto, dall’altro perché disorientata dal cattivo odore proveniente da Iodice. Un’alitosi insopportabile, aggravata dall’età e dalla dentiera.

Mentre tentava di riprendersi, Teresa rimase a fissare quella cartella gialla. Il primo impulso fu quello di lasciarla laddove l’aveva poggiata Iodice. Non si trattava di vigliaccheria. Bisognava saper misurare le proprie forze. Era destinata a soccombere e non voleva coinvolgere Federico in quell’avventura disperata. Era anche consapevole che se avesse portato con sé la cartella, avrebbe imboccato una strada senza ritorno e forse senza via d’uscita, senza possibilità di innestare la retromarcia. Avrebbe dovuto percorrerla tutta, deviando il corso della esistenza verso esiti imprevedibili, fino alle conseguenze estreme se necessario.

Rimase imbambolata ancora per qualche attimo, l’audacia gliel’avevano strappata via con violenza tanto tempo prima. Sentiva di non essere in grado di raccogliere quella pesante eredità. Si stava alzando, stava per andarsene a mani vuote quando trasalì. All’improvviso, vide spuntare Federico da dietro un cespuglio. Fu lui ad afferrare la cartella senza dare il tempo a Teresa di reagire.

«Ho sentito tutto. Non c’è tempo da perdere, mamma. Ho diverse idee per la testa ma, prima di ogni cosa, dobbiamo scoprire dov’è ricoverato questo Fabrizio Orlando e sperare che non muoia. O che comunque non muoia prima di averci raccontato la verità. Solo lui la sa, perciò gli hanno sparato».

Teresa rimase stupita dall’intraprendenza, dall’intuito e anche da quel briciolo di cinismo del figlio. Non le rimase che seguirlo. Le venne spontaneo guardarsi intorno, si muoveva guardinga, come se il Parco del Poggio si fosse trasformato in un campo minato o fosse presidiato dai Servizi segreti. Mentre si avvicinava all’uscita, le voci e il frastuono della strada si imposero nuovamente sulla quiete del parco. Fissò a lungo Federico, fu lui a trasmetterle quella dose di incoscienza che forse non aveva mai avuto. Nemmeno quando all’età di diciassette anni si prese gioco di Fabrizio Orlando. Nemmeno quando fu costretta in qualche modo a tradirlo. Era arrivato il momento di riscattarsi. Era giunta l’ora di rendere giustizia a sua sorella.

prologo del romanzo “Il massacro di San Silvestro”

Per prenotazioni: https://www.produzionidalbasso.com/project/il-massacro-di-san-silvestro/

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