UN SUDAMERICANO A TRASTEVERE

La vita di Bruno Giordano è come un romanzo di formazione dalle tinte noir, in cui il dramma e il trionfo sono separati da una linea fin troppo sottile, quasi invisibile. Una vita sulle montagne russe (Fazi editore) in cui Giancarlo Governi dà voce a Bruno Giordano è un resoconto avvincente dell’infanzia e della vita di questo grande calciatore. Arricchito dalla prefazione di Edoardo Albinati, il libro ripercorre tutte le fasi salienti della carriera di Giordano, partendo dall’adolescenza trasteverina, in cui il suo orizzonte era solo la bottega del padre posizionata a due passi da Campo de’ fiori. Lì domina la statua dell’insigne filosofo nolano che ispirerà il padre di Bruno nella scelta del nome. Insomma, col destino già scritto in quell’ingombrante omonimia (seppure a nome e cognome invertiti), Giordano non poteva che diventare, tra mille peripezie, lo straordinario campione che è stato, vincendo, tuttavia, molto meno di quanto il suo talento meritasse.

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La sua carriera iniziata sui campetti dell’oratorio, passata attraverso il provino per la Lazio con gli scarpini rotti e l’esordio nella squadra leggendaria e turbolenta del mitico Maestrelli (“Erano dei veri pazzi. Tutti con la pistola e il fucile. Chiedevano all’autista del pullman di fermarsi, entravano nel bosco e iniziavano a sparare all’impazzata”), e culminata con lo scudetto a Napoli, è stata appunto una giostra impazzita con memorabili salite e disastrose discese. Come quel famoso 23 marzo 1980 che comprometterà, in parte, la sua carriera: Giordano viene arrestato al termine della partita giocata a Pescara. Quella sera, in televisione, ai gol si sostituiscono le immagini di tanti giocatori in manette, i blitz negli spogliatoi di mezza Italia. Il Paese è sotto choc, il calcio sembra aver perso la verginità. Giordano trascorre otto giorni a Regina Coeli, chiuso in cella con il suo amico e compagno Lionello Manfredonia (che una decina d’anni dopo, crollerà in campo per un malore proprio davanti a Bruno, durante un Bologna-Roma in cui sono avversari). Paradossalmente, tutti i giocatori, compreso Giordano, saranno assolti dal Tribunale ma condannati dalla Giustizia sportiva. La carriera di Bruno sembra finita. Anche perché al rientro in campo dopo la squalifica (in parte condonata dopo la vittoria dell’Italia ai mondiali dell’82), un rude difensore ascolano gli rompe una gamba. Dopo quest’ennesima sciagura, il rapporto con la Lazio si logora definitivamente. Il rapporto con Chinaglia, nel frattempo diventato dirigente, si incrina fino alle estreme conseguenze dopo che Long John gli aveva paventato addirittura la cessione alla Roma.

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A quel punto, un dirigente con il fiuto di Allodi non poteva farsi sfuggire l’affare: Maradona vuole Giordano a Napoli per vincere lo scudetto. “Bruno Giordano è stato l’italiano più forte con cui abbia mai giocato, il più sudamericano tra quelli che sono nati nel vostro meraviglioso paese”. D’altronde, prima di Diego, un altro straordinario interprete del calcio come Cruijff aveva individuato in Giordano un futuro campione: “A diciannove anni faceva delle cose che solo i grandi campioni sanno fare a quell’età”. Proprio a Napoli, dunque, Giordano conosce il sapore della vittoria, in una città che sa adottarlo e coccolarlo come non gli era mai successo prima. “Anni indimenticabili in una città straordinaria. Difficile capire perché Roma e Napoli a livello calcistico non siano unite contro lo strapotere del Nord e si facciano guerre di parrocchia, guerre suicide.” Anni di gloria ma anche di uno scudetto perso in maniera rocambolesca e sospetta quando sembrava a un passo. Sono i tempi della Ma.Gi.Ca. (Maradona-Giordano-Careca), uno dei tridenti più forti e spettacolari mai visti su un campo di calcio. Giordano chiuderà la carriera ad Ascoli, coltivando il sogno di poter allenare un giorno la sua Lazio.

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Il libro sa raccontare questo e molto altro, anche l’incandescente contesto capitolino in cui Giordano diventa calciatore. Gli anni ’70 nei quali Roma sembra sull’orlo della guerra civile, immersa in un pericoloso clima di tensione in cui gli episodi di cronaca nera, come l’incredibile morte di Re Cecconi, si mischiano ai delitti politici, uno su tutti il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro.

La chiusura è dedicata alla sua vita privata e a un altro fardello: il matrimonio con Sabrina Minardi, poi diventata la donna dell’enigmatico boss della Magliana, Enrico De Pedis. Anche, adesso la Minardi, che è un personaggio che ogni tanto ritorna agli onori delle cronache per le sue fantasmagoriche indiscrezioni sulla misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi, resta nell’immaginario collettivo la donna che ha sposato il famoso Bruno Giordano. Insomma, le scorie del passato continuano a contaminarlo, nonostante, a quanto pare, ormai si sia messo in pari anche con la vita, oltre che col passato.

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