MESSAGE IN A BOTTLE

Luigi e Antonio erano diventati amici in una piovosa mattina di inizio primavera, quando ancora il clima è sospeso tra il grigiore invernale e il sole intermittente di marzo. Si erano conosciuti nella polverosa biblioteca della facoltà di Giurisprudenza, mentre entrambi erano alla ricerca dello stesso testo antico di Procedura Penale. Lentamente la frequentazione si era intensificata, anche grazie ai numerosi interessi comuni e alla voglia irrefrenabile di fare baldoria. Poi, dopo la laurea e l’abilitazione, le loro strade si erano inevitabilmente separate. Fino a quando Luigi non aveva scoperto che Antonio era più interessato a Serena che a lui. Quel viscido farabutto continuava a scrivere in segreto a Serena, blandendola subdolamente, ostentando ricchezza e successi professionali, stuzzicando improbabili confronti con lo sciagurato che lui aveva sposato.

La faccenda mandò Luigi su tutte le furie, e gli fece perdere completamente il lume della ragione. Dapprima esplose in una scenata, umiliando Serena, inchiodandola dinanzi alla sua reticenza, vomitandole addosso qualunque tipo di offesa. Poi decise di prendere la situazione di petto e risolverla a modo suo una volta per tutte. Senza fare il minimo cenno alla questione, chiamò il vecchio amico e lo invitò in una caffetteria nei pressi di piazzetta Nilo. Antonio si diede molte arie, gli spiegò che era entrato a far parte del consiglio d’amministrazione di una delle società di servizi più importanti della città, e la cosa gli assorbiva molto tempo, ma incuriosito dall’inattesa telefonata, e intuito quale fosse la materia del contendere, accettò l’invito e gli diede appuntamento per il sabato successivo.

Luigi arrivò con qualche minuto d’anticipo. La pioggia battente lo costrinse a prendere posto nella saletta interna. Nel locale rimbombava una vecchia canzone dei Police di cui Luigi dimenticava sempre le parole e il titolo, ma di cui apprezzava la melodia e il ritmo. Si posizionò in un punto da cui era possibile vedere anche la strada. L’asfalto era sferzato dall’incessante acquazzone, e non c’erano molte persone in giro. Notò immediatamente l’arrivo trafelato di Antonio, che per una qualche strana ragione (considerato che non aveva con sé nemmeno un ombrello) era riuscito miracolosamente a non bagnarsi. Il fisico asciutto, il volto abbronzato, l’abbigliamento curato nei minimi dettagli, gli destarono una certa invidia.

Dopo tanto tempo si salutarono palesando una gelida diffidenza e un evidente astio reciproco. Luigi percepì qualcosa di immediatamente aggressivo nel tono di Antonio, che di solito era ipocrita e non mostrava apertamente insofferenza e ostilità. Saltate le formalità del caso, con tono altezzoso e marcato accento da altolocato, enfatizzando talune parole, Antonio ruppe immediatamente il ghiaccio e il silenzio. La sua intenzione era quella di umiliare Luigi senza alcuna remora. Per lui, in effetti, si trattava di un macabro divertimento. Del resto l’arroganza conferisce sicurezza e la prepotenza autorizza ogni tipo di scelleratezza. Luigi però possedeva un’arma estremamente pericolosa e incontrollabile: la forza della disperazione.

«Bevi ancora la stessa birra dei tempi dell’università? È un po’ da sfigati, non trovi? Nella vita si cambia, ci si evolve. A proposito, come te la passi? Stai lavorando? Ti vedo un po’ giù di corda…»

«Sai sempre tutto, ti insinui in maniera sleale nelle esistenze degli altri. La tua domanda è inutile. Magari, anzi ne sono sicuro, sai più cose tu sul mio conto di quante ne sappia io stesso».

«Non so proprio un cazzo. Poi sai quanto potrebbe fottermene. Non vedo e non sento più nessuno dei vecchi compagni da tempo. Conduco un’esistenza separata da voialtri. Era una vita che non venivo da queste parti. Abito a Posillipo, io. Quando non vado a Capri per il fine settimana, frequento un po’ la zona di Chiaia. Ma ci sono troppi ragazzini che si accompagnano a bambine che si atteggiano a donne. Non fa per me. Quand’eravamo adolescenti noi era tutto diverso. E tu non esci la sera? Non senti l’esigenza di svagarti? Napoli è una città piena di locali e opportunità, è un vero peccato non coglierle…»

«Certo, però non frequento posti da chiattilli o locali per buffoni arricchiti».

«Ti piacerebbe farlo, di’ la verità. Al massimo, per risparmiare, vai a mangiare la pizza con tua moglie in qualche ristorante di second’ordine. Non hai altre compagnie, né ambizioni. Ti arrangi con qualche lavoretto sporco qua e là e non hai molta voglia di farti vedere in giro. Eh, ti capisco».

«Ogni tanto mi accompagno a tua madre».

«Non usare le parole sbagliate, che potresti pentirtene amaramente».

Luigi gli mostrò il dito medio, avvicinandoglielo al volto e agitandolo vertiginosamente dal basso verso l’alto, a ripetizione, come in preda a un delirio. Sembrava un invasato.

Antonio gli scostò il dito fulmineamente, poi glielo stritolò con una rapida mossa, e lo fissò per qualche interminabile secondo di sbieco, con uno sguardo malvagio, vendicativo, feroce.

«Non fare lo stronzo qua dentro. Ti avverto. Forse non ti è chiaro con chi hai a che fare. Sono venuto qua perché mi fai un po’ pena. Ti vorrei aiutare, e tu invece mi stai intossicando lo Spritz. Non scherzare con Antonio Barbaro. Non te lo puoi permettere».

«Sai dove te lo puoi ficcare lo Spritz, A-n-t-o-n-i-o-B-a-r- b-a-r-o? La tua presunzione è disgustosa. Hai paura di fare brutta figura? Ci tiene così tanto alla sua immagine immacolata, il nostro miserabile giovin signore…»

«Ok, veniamo al punto, senza preamboli o stronzate varie. Vuoi sapere di Serena? Perché si è scocciata di un morto di fame come te e subisce il fascino di un vincente come me? Te lo devo spiegare io, o ci arrivi da solo?»

«Senti, pezzo di merda, io voglio sapere perché hai deciso di ficcare il naso negli affari altrui. Dimmi il motivo per cui non te ne stai con gli eunuchi come te e non la smetti di importunare mia moglie».

«Come parli difficile. A chi credi di impressionare? Tanto per esser chiari, è lei che importuna me. Io me ne sto per i cazzi miei, e lei mi invia messaggi a qualunque ora del giorno. Pure di notte. Non ci credi? Aspetta, che ti faccio leggere cosa mi scrive quella piccola bricconcella. Deduco che le cose tra di voi non vadano tanto bene. D’altronde, ti sei visto? Lo tieni scritto in faccia che te la passi proprio male. Sembri un fallito».

Antonio non ebbe il tempo di prendere il telefono. Mentre era impegnato a cercarlo nelle tasche dell’impeccabile giacca di sartoria, Luigi si era liberato dalla morsa che fino ad allora gli aveva bloccato la mano e impedito qualunque movimento, e con grande soddisfazione gli fracassò la bottiglia vuota di birra in mezzo alla fronte.

Ne seguì un caotico trambusto, durante il quale Luigi ne approfittò per dileguarsi, mentre in lontananza già si udiva il suono incalzante delle sirene dell’ambulanza e della volante della polizia.

 

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(Tratto dal racconto “Tre anni, nove mesi e ventuno giorni”, pubblicato all’interno della raccolta “Pausa dal dolore”).

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