IL VIAGGIO INFINITO DELLO SCANDINAVO PARTENOPEO

Oggi che la letteratura oscilla tra lo sterile intrattenimento e il puro esercizio di stile, si impone il recupero di tutta la produzione di Attilio Veraldi la cui generica definizione di “giallista napoletano” è, a conti fatti, decisamente riduttiva.

Veraldi è stato uno dei più grandi intellettuali che abbia conosciuto la letteratura italiana dell’ultimo secolo. Dotato di una grande capacità di analisi politica e critica sociale, Veraldi fu capace di creare un romanzo unico nel suo genere, sovvertendo gli stereotipi della giallistica tradizionale. Peraltro, l’ambientazione partenopea rappresentava più un’insidia che un vantaggio per un cosmopolita come lui, scappato in Svezia negli anni ’50 per sfuggire all’ambiente soffocante della sua città e per inseguire una donna.

Veraldi, tuttavia, seppe creare dei libri che assomigliavano a delle sceneggiature o viceversa. Tanto è vero che il suo romanzo più famoso, La mazzetta (ora ripubblicato da “Il ponte alle grazie”), dopo il fulminante esordio in libreria, diventò un film di successo con Nino Manfredi, nel ruolo di Sasà Iovine, e Ugo Tognazzi, nel ruolo del commissario Assenza.

La duttilità del testo consentì al regista Sergio Corbucci di variare i profili dei personaggi e il corso della storia, senza però mai perdere di vista il racconto originale. Anche, per questo, a oltre quarant’anni dalla sua pubblicazione, La mazzetta si conferma un’opera assolutamente innovativa perché è riuscita a contenere, dentro una cornice da film americano, un po’ tutti i generi: giallo deduttivo, hard boiled, anticipando anche la successiva stagione del noir mediterraneo, pur rifuggendo i luoghi comuni e la semplice oleografia partenopea.

Senza dubbio, Veraldi possedeva la stoffa del grande romanziere, affinata durante la sua lunga attività di traduttore, soprattutto cimentandosi sui testi dei grandi maestri americani come Chandler e Hammett. Tra l’altro, le sue traduzioni assomigliavano più a delle riscritture, se non a veri e propri romanzi, come nel caso di “Ultima fermata a Brooklyn” di Hubert Selby Jr., un libro che utilizzava un linguaggio ostico e osceno e che fu messo all’indice nell’Inghilterra bigotta degli anni ’60.

Questo tipo di attività, svolta con precisione scandinava ed estro tutto partenopeo, contribuì a costruire il grande romanziere che, dopo La mazzetta, seppe scrivere altre opere degne di nota come Il vomerese (Avagliano editore), il primo grande romanzo italiano sul terrorismo nel quale la finzione superava di gran lunga la realtà, e Naso di cane (Avagliano editore), una descrizione per niente manichea delle periferie napoletane che ha anticipato i successivi gomorrismi.

Insomma, Veraldi è stato un vero precursore. Per Napoli ha rappresentato quello che poi Jean Claude Izzo è stato per Marsiglia, perché ha mostrato vicende, personaggi di cui la letteratura non s’era ancora occupata e realtà che si preferiva ignorare, filtrando la drammaticità degli eventi con l’ironia tutta partenopea laddove, invece, il grande scrittore marsigliese utilizzava il registro malinconico degli uomini di mare.

Per uno strano scherzo del destino e per una faccenda fiscale, Veraldi è scomparso in Costa azzurra, a Montecarlo, un anno prima di Izzo. Per suo volere, le ceneri furono disperse nelle acque del Mediteranno, quasi a simboleggiare il viaggio infinito delle storie e dei personaggi che sopravvivono a chi le ha prima immaginate e poi scritte.

la_mazzetta

 

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