IL PIÙ IRRIVERENTE DEI TIRI

I libri di Marco Ciriello sono sempre una boccata d’ossigeno nell’attuale panorama letterario, impantanato nel conformismo ideologico e nella mancanza di coraggio editoriale.  Ciriello, con “Il più maldestro dei tiri” (Ad est dell’equatore), omaggio dichiarato al pensiero e all’opera berselliana, fa delle scelte audaci, a cominciare dalla lunghezza dell’opera. “Le case editrici e l’editoria hanno un problema con la brevità, pensano che dire le cose in un solo rigo, sia sbagliato, e non sanno che William Faulkner c’ha provato tutta la vita”.

Meglio essere concisi e dir qualcosa piuttosto che subappaltare la scrittura ai ghost writer o riempire d’inchiostro pagine insignificanti. E Ciriello, in queste novantadue pagine, ne dice tante di cose. Costringe a riflettere, a spremere la mente e a rielaborare le informazioni. A partire dall’analisi del ventennio berlusconiano, dal suo declino iniziato a Pasadena con la sconfitta nella finalissima del mondiale a stelle e strisce, passando per la notte da incubo di Istanbul, fino all’uscita di scena ignominiosa tra scandali a luci rosse e inadeguatezza politica. Tutta la vicenda viene filtrata attraverso le punizioni di Pirlo, una sorta di residuato bellico in un’epoca in cui gli epiloghi sembrano sempre già immaginati, già scritti, già raccontati. Pirlo, invece, ha la capacità di far saltare gli schemi, di rompere gli equilibri con un solo tocco, magico e imprevedibile. Roba che, nel calcio, è diventata rarissima, in politica è quasi scomparsa. È talento puro: roba che nemmeno Baricco può insegnare agli aspiranti scrittori.

Ciriello, irriverente e ironico come sempre, pasolinianamente provocatorio, in questo gioco di paradossi alla Flaiano e di rimandi che volutamente disorientano il lettore, schiera giocatori, politici e scrittori, li dissemina con accuratezza tra le pagine del libro, come se stesse sistemando le miniature su un campo di subbuteo, cercando di restituire a ciascuno il suo ruolo e amalgamare la squadra alla maniera di Soriano. Insomma, prova a fare il Sarri. A ricomporre laddove c’era dispersione e confusione, a ristabilire un equilibrio laddove regnava il caos. E il filo sottile che lega tutti gli eventi è l’assist di Pirlo a Baggio in una famosa partita di qualche anno fa, Juventus-Brescia. Pirlo per Baggio e gol del Brescia. Un dialogo tra fuoriclasse, che, tra l’altro, vestivano la casacca “sbagliata”, quella della provinciale che sbaragliava la “DC del calcio”, in barba al blasone, alle gerarchie e ai compromessi storici e recenti. Quest’asse vincente, però, non è mai esistito nella politica italiana. Se la parabola che disegna Pirlo è vincente, quella su cui s’è mossa la politica da Moro a Berlusconi, è risultata perdente, anacronistica, fallimentare. È mancato il colpo di genio, la mossa a sorpresa che potesse sparigliare gli avvenimenti, ridare un senso alla Nazione. È successo in politica quello che sta avvenendo in campo letterario. “Questa storia per me ha a che fare con lo stupore, penso che i libri debbano contenere questo tipo di sorprese: una cosa che faresti e te la ritrovi scritta, o una cosa che non faresti ma che leggendola vorresti farla o averla fatta”. O una cosa geniale che non ti verrebbe mai in mente e ti sorprende nel leggerla. Che ti fulmina all’improvviso. Come un lancio di cinquanta metri che mette Baggio solo davanti al portiere.

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