L’INGIUSTIZIA DELLA LEGGE E LA CATARSI LETTERARIA

Giustino Salvato è un avvocato penalista affermato, affetto da una forma acuta di misantropia. Nella sua concezione, l’umanità è formata da viscidi e insidiosi scarafaggi, specialmente in alcune zone dove le infiltrazioni criminali si insinuano dappertutto e contaminano luoghi e coscienze. La sua valvola di sfogo è una stanza insonorizzata nella quale distrugge tutti gli oggetti che gli capitano a tiro. “Come un chiodo nel muro” di Tony Laudadio (Bompiani, pagg. 368) è un giallo atipico (il delitto principale e il relativo “colpevole” vengono svelati solo alla fine), la cronaca della settimana che sconvolgerà l’esistenza dell’avvocato Salvato e che lo costringerà a rivedere la sua tenace resistenza al male da cui non potrà più mantenere la giusta distanza. Il fragile compromesso su cui prova a tenersi in equilibrio viene messo a dura a prova da una serie di avvenimenti: una donna, rea confessa dell’omicidio del marito, che spunta da un passato ormai sepolto e un boss latitante che pretende di essere patrocinato nel suo percorso di calcolato pentimento. Si innescheranno una serie di conseguenze imprevedibili ed estremamente pericolose che sfuggiranno dalle mani dell’avvocato il quale assisterà impotente all’inesorabile sgretolamento delle sue ataviche certezze.

Il romanzo è quasi una seduta psicanalitica, che scandaglia ogni anfratto dell’anima del protagonista, ne esamina i sentimenti e gli affetti, ripercorre le tappe della sua giovinezza e il suo legame viscerale con il padre, fino a costringerlo a uscire dal suo isolamento, a mettere in discussione la sua ostinata esistenza. È un’indagine al microscopio sulle idiosincrasie, sulle ribellioni, sui pensieri sottaciuti. La storia è anche una riflessione sulla giustizia “che non ha niente a che fare con la legge”. È facile cogliere una feroce critica a tutto il sistema giudiziario zeppo di laceranti contraddizioni e di evidenti vessazioni. Forse la letteratura, che non ha codici né scorciatoie, è lo strumento per rendere più giusto il mondo, per affrancarlo dalla prepotenza e dalla tirannia degli uomini malvagi. La rivelazione finale arriva come un momento catartico inatteso, come una forma di espiazione che libera l’avvocato dalle sue responsabilità, una sentenza inappellabile che, lentamente ma inevitabilmente, comincerà a estrarre quel pesante chiodo dal muro.

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