CONCRETE AND GOLD

Può essere considerata la versione dei Motorhead di Sgt. Pepper o qualcosa del genere”, così David Grohl ha presentato il nuovo lavoro dei suoi Foo Fighters. In effetti, Concrete and gold è il classico disco destinato a dividere la critica. Tuttavia, ogni band è figlia dei suoi tempi. Non si pubblicano più album leggendari, il discrimine sta tutto tra ciò che è buona musica e quello che non lo è. I Foo Fighters rappresentano una specie in via di estinzione, che s’ostina a far sopravvivere il rock in un’epoca (piuttosto deprimente e priva di guizzi memorabili), dominata da Despacito o dai vari tormentoni stagionali che stanno alla musica come Alvaro Vitali al cinema d’autore.

Con quest’ultimo lavoro, Grohl & C. hanno provato a ricreare l’epopea del grande rock attraverso un’originale combinazione tra l’hard rock più estremo e sonorità pop, ricercando un difficile compromesso tra futuro e passato. Non è un caso che Paul McCartney abbia dato il suo contributo suonando la batteria in Sunday Rain, una ballata in cui David Grohl cede il microfono a Taylor Hawkins. Tuttavia, l’influenza beatlesiana (con echi dal White Album ma non solo) è abbastanza evidente anche in altri pezzi, come per esempio in Happy Ever After (Zero Hour) o nell’esplosiva The Sky Is A Neighborhood, destinata a diventare un classico della band.

Suggestiva è anche l’intro affidata alla breve e pinkfloydiana T-Shirt che prepara il terreno a Run, il pezzo più metal di tutto l’album. Non mancano dei veri e propri gioielli, come Dirty Water che parte piano per poi esplodere in un’orgia di chitarre o come The Line che dimostra la capacità dei FF di realizzare brani perfetti. La title-track che conclude il disco in una strana atmosfera psichedelica sembra rimandare vagamente al finale di The Dark Side of the Moon.

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In generale, gli undici pezzi di Concrete e Gold sono uno diverso dall’altro, spaziano dal pop-rock al metal più estremo, alternando cori e chitarre, come se l’intenzione di Grohl e soci fosse quella di realizzare una rapsodia rock usando come punto di riferimento alcuni lavori dei Queen.

Insomma, Concrete and Gold, non sarà certo un capolavoro, forse non sarà nemmeno all’altezza di altri album più convincenti dei FF ma in questo momento è ossigeno puro. Rappresenta al meglio la voglia di “attraversare il cemento” per avvicinarsi all’età dell’oro musicale. L’album sta tutto in questa dicotomia tra il concrete che è l’ostacolo e il gold che è il traguardo. Forse i FF sono rimasti un po’ a metà del guado, indecisi sulla strada da imboccare, dopo aver percorso in lungo e largo le Sonic Highways nell’album precedente.

D’altronde, in questi pezzi è rappresentata proprio la rinascita di Grohl dopo l’incidente durante un concerto a Goteborg che lo costrinse a proseguire il tour del 2015 con una gamba rotta, seduto su un trono di chitarre. Durante la lunga riabilitazione, tentando di respingere l’istinto di prendersi una pausa o mollare tutto, Grohl ha scritto queste nuove canzoni che saranno il sicuro preludio a un nuovo tour nel 2018 (dal vivo, peraltro, i FF sono una delle migliori band in circolazione). Canzoni dirette ed essenziali che hanno una sola e semplice pretesa: portare la musica rock in giro per il mondo, insegnando che da una caduta ci si può sempre rialzare.

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