IL CONTROLLO DEL FUTURO

La società italiana è fondata sull’omologazione, imposta da un modello organizzativo orwelliano che si regge ancora sul predominio indiscusso e incontrastato delle corporazioni, prodotto di altre epoche e di altre forme di governo, anche più autoritarie, rispetto alle quali, almeno a parole, si è avuta una crisi di rigetto ma, sostanzialmente, si è mostrata una certa acquiescenza nel momento in cui lo scaltro opportunismo è prevalso sul puro idealismo. Il rischio concreto è quello di uno scenario apocalittico e gerarchico, simile a quello di “1984, nel quale l’azzeramento delle facoltà individuali, l’ottundimento di sensazioni ed emozioni rappresentano la diretta conseguenza dell’ingerenza dell’apparato statale nelle vite private dei sudditi, tenute sotto stretta osservazione. All’iniziativa individuale, all’intraprendenza e al coraggio di alcuni, infatti, s’è sempre contrapposto l’arroccamento, l’ostinazione e l’oltranzismo di chi deve difendere il territorio e le rendite, proteggere posizioni acquisite e privilegi guadagnati.

È innegabile che le corporazioni hanno sacrificato lo stesso concetto di individuo sull’altare della collettivizzazione delle professioni e delle finte rivendicazioni, mostrandosi sempre pronte a sedere al tavolo delle trattative, concertando per lo più favori reciproci e abbandonando al loro destino quelli che avrebbero dovuto rappresentare, distribuendo, qua e là, qualche briciola sparsa che è beffarda metafora dell’inganno consumato. Si è consolidata una specie di spersonalizzazione che ci ha resi uno simile all’altro, anche se chi sta ai vertici è “più uguale” di tutti gli altri. Vogliono tenere insieme cose e persone solo all’apparenza affini, vogliono affiliarle per legge, metterle insieme per forza, combinarle a dispetto della logica, ingarbugliarle, ignorando le differenze, annullando le diversità e rinnegando la logica. Così l’unico strumento consentito per identificarsi diventa l’aggregazione, l’associazione coatta, l’unione imposta dal conformismo imperante.

I nomi e i cognomi non hanno più importanza. A meno che i cognomi non siano quelli delle dinastie che impongono le gerarchie. Che stabiliscono chi sale e chi scende nella scala sociale, chi entra e chi esce dalle stanze dei bottoni, chi occupa e chi non è ammesso a ricoprire posti di responsabilità o di prestigio. L’uniformazione è il metodo più sicuro per selezionare sulla base di parametri soggettivi e mai oggettivi, per premiare la fedeltà o il lignaggio, e mai la preparazione. Diventa appunto il mezzo più efficace per abbattere la competizione, squalificare i concorrenti insidiosi, falsare il risultato della gara fin dalla partenza, prima del fischio di inizio. È il procedimento ordinario per garantirsi lauti stipendi e pensioni dorate. Che consente di scegliere esattamente il momento in cui lasciare il lavoro, alle condizioni più favorevoli, continuando ad arrotondare con un secondo mestiere. Uno di quelli sarà trasferito agli eredi, unitamente a casa e studi, conti in banca e auto di lusso, cariche e poltrone di pelle, uffici e segretarie. Senza mezze misure, ci si ritira dal lavoro o troppo presto o troppo tardi, creando, in quel momento di sospensione, un’invalicabile barriera all’ingresso. Ecco cos’è e a cosa serve l’omologazione. A conservare, restaurare, custodire, rimescolare, confondere, ipnotizzare.

L’ideologia è la sovrastruttura dell’omologazione, ne è il presupposto e la conseguenza, che tutto ingloba e tutto normalizza, facendo sentire parte integrante del sistema pure gli esclusi. Li blandisce nel momento stesso in cui li scarta, li corteggia un attimo dopo averli già scaricati. Il linguaggio, invece, viene smontato un po’ alla volta, come fosse una macchina di cui occorrono solo i pezzi di ricambi. Una volta che è stata sminuzzata, si conservano solo poche parti essenziali, privandosi di tutto il resto, mandandole al macero, polverizzandole, vaporizzandole. Vengono eliminate, in questo modo, tutte quelle parole, frasi od espressioni che risultano eterodosse e, viceversa, conservate, rimarcate ed elevate a lingua ufficiale soltanto quelle poche, ridotte all’osso, che trasmettono il messaggio imposto dall’ortodossia dominante. Che non creano disagi, proteste, pericoli, ripensamenti, riflessioni. Tra quelle di fatto abolite, o pronunciate e scritte senza convinzione, avendole preventivamente svuotate di significato in una raffinata operazione di alterazione semantica, rinveniamo merito, concorrenza, competenza, qualità, talento, dote, capacità, bravura, abilità, attitudine, propensione, inclinazione, audacia e anche (lucida) follia che guida ogni impresa, almeno in partenza e in apparenza, temeraria. Smarriti i concetti e le parole, si vive in un tempo indefinito ed inafferrabile, dove, come nel capolavoro letterario di Orwell, “chi controlla il passato controlla il futuro e chi controlla il presente controlla il passato”. Alla stessa maniera, chi controlla il linguaggio controlla il pensiero, chi controlla il pensiero (e il linguaggio) controlla il passato, il presente e il futuro.

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