LA CAPITALE COMICA E APOCALITTICA

Come si fa scrivere un libro che qualcuno voglia davvero leggere? Devi eliminare tutte le cagate pallose”.  I romanzi di Marco Ciriello vanno letti con attenzione fin dalle citazioni in esergo. Le parole di Elmore Leonard, oltre a introdurre il rocambolesco “Assassinio sulla Palmiro Togliatti” (Baldini&Castoldi), segnano una linea di demarcazione, esprimono un giudizio tranciante su una parte della letteratura contemporanea. Né si può prescindere dalle dediche che l’autore riserva in apertura a Jean-Patrick Manchette, Claudio Caligari, Carlo Mazzacurati ed Elio Petri perché anche queste, in qualche modo, perimetrano l’intera vicenda. In particolare, il francese Manchette, maestro del noir, che ha sempre usato uno stile e un registro molto distante dalla scrittura di genere tanto da aver riscritto quasi i canoni del poliziesco.

Il racconto di Ciriello, così inquadrato, non conosce soste, momenti noiosi o sovrabbondanti. I personaggi si muovono come in una sfilata carnevalesca, sono verosimili anche nei tratti grotteschi che l’autore accentua proprio per prendere in giro il modo in cui vengono veicolati, sia nel linguaggio che nei contenuti, i vari romanzi criminali di cui sono piene le librerie.

Senza voler rivelare troppo della trama, non è un caso che i personaggi più riusciti sono proprio quelli legati al mondo della comunicazione come l’improbabile blogger Beppe Gronchi, il cui sito “Pissy Pissy” è una variante romanesca dell’ellroyiano “Hush-hush”, o Tommaso de Marzio, il prototipo del giallista-giornalista, che non perde occasione per dispensare i suoi accorati e ruffiani editoriali con l’unico scopo di promuovere se stesso.

Ecco perché la guerra tra russi e nigeriani per il controllo del traffico di droga nella Capitale e l’uccisione dello spacciatore thailandese sono semplici spunti per sorprendere il lettore, accompagnarlo in luoghi poco battuti dalla narrativa tradizionale, e comporre un puzzle variopinto di personaggi bizzarri su cui spicca il commissario, Rosa Salieri, una specie di Binetti con la pistola.

Le scorribande proseguono senza pause fino all’epilogo calcistico-sanguinario con sequenze veloci, spiazzanti, quasi cinematografiche, con i preziosi scarpini di Totti come leitmotiv e una scimmia, che incarna quel misto di stravaganza e malvagità che anima i protagonisti della vicenda, come metafora di tutta il romanzo.

Lo scopo di Ciriello, in definitiva, è quello di ribaltare la prospettiva e l’angolazione delle storie, costruendo un affresco impietoso della realtà moderna, nel quale dramma e comicità si mescolano, i luoghi vengono trasformati come in quadro surrealista e il tratto caricaturale dei personaggi li fa emergere in tutta la loro vera essenza di miserabili.

L’ironia della prosa, l’uso del dialetto romanesco rimandano, anche con accenti diversi, alle atmosfere e alla scrittura del precedente “Vangelo a benzina”, il capolavoro di Ciriello. Complessivamente, la verve linguistica, l’estro creativo e l’originalità delle situazioni confermano tutto il talento letterario di Ciriello, una delle poche voci fuori dal coro della letteratura nazionale.

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